LIVIA GERESCHI

Livia Gereschi era nata a Pisa il 7 gennaio 1910, dove si laureò e intraprese la professione di insegnante di lingue straniere. Venuto il generale sfollamento della città, si rifugiò con la vecchia madre a Pugnano, in una stalla adibita a ricovero degli sfollati. Chi si trovò in quel periodo accanto alla “professoressa” ne ricorda il comportamento esemplare per compostezza e dignità, la capacità di incoraggiare e consolare i suoi compagni di sventura, i sentimenti antifascisti espressi con la sobrietà che il momento richiedeva ma anche la tranquilla sicurezza che rivelava una matura e argomentata riflessione.
La notte tra il 6 e il 7 agosto ingenti forze SS tedesche guidate da spie fasciste eseguirono un massiccio rastrellamento sui Monti Pisani, in località «La Romagna», sopra Molina di Quosa, dove si erano rifugiate molte famiglie delle zone circostanti. Cercavano partigiani, ma trovarono soltanto civili inermi, che attaccarono con lanciafiamme e mitragliatrici.
Distrussero le loro povere capanne e masserizie, alcuni rimasero uccisi sul posto, trecento furono catturati e condotti al piano, in località Pecetta. Qui gli uomini furono divisi dalle donne e dai bambini e avviati in colonna verso Ripafratta.
Ancora una volta Livia dette consolazione alle famiglie in ansia, coraggio alla popolazione terrorizzata da quest’ennesima violenza, offrendosi di parlare ai tedeschi e spiegare la situazione; parlava la loro lingua, era persona insospettabile, sarebbe stato più facile a lei che ad altri farsi credere e indurli a desistere dai loro sciagurati propositi. Non fu così.

Li condussero tutti alla scuola elementare di Nozzano (Lucca), divenuta allora luogo di tortura dei partigiani (e fatta poi saltare in aria dai tedeschi in ritirata, per nascondere i segni della loro atrocità), e là trascorsero quattro lunghi orribili giorni. Molti di loro – anche Livia – vennero seviziati. Infine, l’11 agosto furono fatti uscire e fucilita, a gruppi di cinque o sei, lungo le strade che da Nozzano portano a Lucca, Quiesta, Massaciuccoli e Massarosa. Nascosti nella macchia e negli anfratti circostanti, parecchi testimoni incerti e terrorizzati poterono osservare i particolari dell’assurda strage.
Livia fu trucidata, con alcuni compagni di sventura, l’11 agosto al calar del sole, in località «La Sassaia» del Comune di Massarosa (Lucca). Fu colpita agli occhi: era fissamente rivolta, come allucinata, verso Pisa.
Tornata la pace, venne intitolata a suo nome una strada – Via La Rosa – posta dietro la sua casa, che si affacciava in Piazza Mazzini a Pisa.

L’articolo è stato realizzato da Anna Maria Galoppini, tratto dagli Atti del Convegno su «Donne e Resistenza» Pisa, Abbazia di S. Zeno, 19 giugno 1978, Tipografia Comunale di Pisa, aprile 1978

Dichiarazioni di Giuseppina Cucci vedova Gereschi fu Luigi, nata a Pisa il 19.8.1883 e residente in Pisa – Piazza Mazzini, 3 – casalinga.


Io sono stata avvertita che non sono obbligata a dire ciò che non desidero, ma che quello che dirò sarà posto per scritto e messo in evidenza.
Giuseppina Cucci ved. Gereschi la quale dice:
Nell’agosto del 1944 mi trovato assieme a mia figlia Livia Gereschi sfollata in località Romagna sui monti di Molina di Quosa. All’alba del 7 agosto un reparto della SS tedesca operò una spedizione in detta località col pretesto di scovare i partigiani. Case e baracche furono circondate dai tedeschi e uomini e donne senza distinzioni di età furono fatti uscire di casa e radunati in un grande prato. Gli uomini furono separati dalle donne e gli ufficiali delle SS si rivolsero alle donne per indurle con minacce di morte a rivelare i nomi e le dimore dei partigiani. Poiché nessuna donna parlò, i tedeschi decisero la deportazione di tutti i catturati. Degli uomini furono fatte due colonne: una di coloro che accettarono di lavorare, un’altra di quelli che avendo accusato una qualche inabilità, avevano chiesto una visita medica. Fra la donne vi era mia figlia, infermiera volontaria della Croce Rossa, la qualche parlava benissimo tedesco e fece da interprete ottenendo dopo molto ore che tutte le donne venissero rilasciate. Lei però senza motivo alcuno fu trattenuta ed aggregata alla colonna degli uomini invalidi (una settantina) e con essi avviata a piedi a Nozzano ove tutti furono rinchiusi nella scuola locale. In detta scuola mia figlia fece da interprete, ma sempre trattata brutalmente.
Il 11 agosto i tedeschi cominciarono a far uscire dalla scuola a piccoli gruppi i disgraziati i quali credevano di essere portati a Lucca per la visita medica, come era stato loro fatto intendere, e venivano invero condotti in aperta campagna e mitragliati.
Dopo le 17 dello stesso giorno i 29 superstiti tra cui mia figlia furono fatti salire su un automezzo e condotti nella località «La Sassaia» nel Comune di Corsanico. Qui furono fatti scendere dall’autocarro, radunati in un posto solitario e ad un cenno dell’ufficiale uccisi con raffiche di mitraglia. I morenti furono finiti dall’ufficiale con un colpo di pistola. I tedeschi delle SS non vollero che i cadaveri venissero sepolti la sera stessa. Il giorno dopo
altri giovani rastrellati dalle SS ebbero ordine di scavare una fossa comune e a mia figlia – unica donna – non fu concesso dai tedeschi di essere sepolta in una tomba a parte.
Giuseppina Gucci ved. Gereschi.
Ho letto la presente dichiarazione. Essa è vera e corretta e ho avuto la facoltà di fare qualsiasi correzione. Giusepina Gucci Gereschi.


Dichiarazione resa a me Capitano Carabinieri Arturo Vitali in Pisa il 30/04/1947
Il testo è stato reperito da Paolo Pezzino nel Public Record Office di Londra ed è stato per la prima volta pubblicato in «Battini-Pezzo: Dal Fascismo alla democrazia – storie di Resistenza e rappresaglie nazifasciste in Provincia di Pisa-Provincia di Pisa 1995»